“Pressione” e Reining

“Avrebbe un certo talento; ma certe pressioni non le tiene”.Lo si sente dire di molti atleti… Tanto quandrupedi quanto bipedi; le caratteristiche che li rendono campioni sono infatti le stesse per entrambi: posto che esista un talento dal punto di vista strettamente tecnico e atletico, ciò che quasi sempre fa la differenza è quell’attitudine, quella capacità di saper dare il meglio di sé nei momenti importanti, quando cioè conta di più. Dal punto di vista mentale e emozionale, l’equitazione è particolarmente affascinante perchè in gioco non c’è semplicemente un atleta o una squadra, ma c’è in sella un cavaliere – o un’amazzone – che porta con sé il suo vissuto interiore, la sua esperienza, i suoi timori, il suo coraggio, le sue speranze e le sue motivazioni; mentre lì sotto, a stare in ascolto e a muovere direttamente i propri passi sul terreno, c’è un cavallo… Cosa porta invece lui dentro di sé è materia che ben conoscono i bravi trainers, che consapevolmente o meno sono chiamati ad essere anche un po’ “psicologi”, nello svolgere il loro lavoro. Sono questi i due elementi che costituiscono ciò che si definisce un binomio, e il fatto che questi stessi elementi immancabilmente finiscano per influenzarsi a vicenda rende impossibile, ai fini del miglioramento di una performance, lavorare sul cavaliere trascurando completamente di considerare le caratteristiche della sua monta, e viceversa. Detto questo, è pur vero che un atleta può lavorare molto su sé stesso per cercare di diventare un performer migliore… Spesso chi è molto emotivo cerca di ottenere a tutti i costi un traguardo: diventare più freddo; perchè “freddo” sembra uno degli aggettivi chiave, una di quelle parole che, ancora una volta, viene frequentemente utilizzata per descrivere tanto buoni riders quanto buoni cavalli. D’accordo, un campione può essere anche un tipo piuttosto freddo; ma non è affatto necessariamente così, come non è vero che questi non senta pressioni addosso a sè, anzi… Perciò, cercare ostinatamente di “non sentire la gara” e di entrare in arena con nonchalance è a volte il miglior modo per ottenere gli effetti esattamente opposti a quelli ricercati. La “pressione”… Quella c’è sempre, soprattutto in una competizione importante; e un buon performer riesce a non vivere questo elemento come un fastidioso ostacolo, bensì come una risorsa in grado di “metterlo pronto” (guardacaso, un’altra espressione che ai reiners dovrebbe suonare familiare…), accendere al massimo tutti i propri sensi, richiamare tutte le energie per dare il massimo. Ognuno, quando è chiamato ad affrontare una situazione tale da richiedere attenzione e concentrazione particolari, ha il proprio personalissimo equilibrio e un altrettanto personale “livello di attivazione” che possa risultare ottimale al fine di non risultare né troppo “acceso”, né troppo “spento” per svolgere il proprio compito al meglio delle proprie possibilità. Molto spesso, questo equilibrio è già difficile trovarlo; ma ancor più arduo può essere mantenerlo in situazioni che presentano molti fattori di disturbo, come in un go round dove si scopre, per esempio, che in tribuna c’è già molto più pubblico di quanto preventivato, o dove sappiamo che è venuto appositamente ad assistere allo show qualcuno che non vorremmo deludere, oppure quando il tempo per fare il nostro ingresso stringe e ci accorgiamo che, contro le nostre previsioni, il nostro cavallo risulta incredibilmente più fresco di quanto avremmo potuto pensare… E potremmo continuare… In tutti questi casi è facile perdere il focus sul da farsi prima e durante una gara, ed è facile trovarsi a competere con uno spirito e un atteggiamento molto diverso da quello che ci eravamo proposti di mantenere; ma come ci si allena a stoppare e a spinnare correttamente e con la maggior precisione che riusciamo ad esprimere, così ci si può allenare a mantenere il nostro corpo e la nostra mente efficienti proprio quando più ci serve. Parlo di mente e corpo in quanto non possono mai essere considerati, se non artificiosamente, separati, scollegati l’uno dall’altro; e questo è così evidente proprio per chi monta a cavallo e si accorge che l’animale è perfettamente in grado di percepire l’ansia e le preoccupazioni del cavaliere non perchè in possesso di chissà quali mistiche facoltà, ma in quanto ogni stato di attivazione interiore si traduce automaticamente in un assetto diverso, o per esempio in una fluidità muscolare diversa nel proporre aiuti con le mani e con le gambe.
Fare gare e ancora gare a volte è almeno in parte utile, poiché l’esperienza e l’acquisire familiarità con tutta una serie di situazioni e contesti innegabilmente aiuta; ma non è sempre così, soprattutto se e quando si inanella una serie di trasferte non esattamente divertenti e produttive, di quelle che anziché dare piacevoli sensazioni e motivazioni sono invece in grado di sgretolare gradualmente la fiducia che si ha nelle proprie capacità.
Dunque?
“Pressione”… Bisogna imparare a tenersela addosso, a nutrirsene e a metabolizzarla per trarne energia utile; e per farlo bisogna dedicare un po’ di tempo a questo aspetto anche nell’ambito delle normali routines di allenamento, soprattutto quando uno show diventa imminente e viene il momento di pensare a come vorremo disegnare un pattern in base ai nostri punti di forza e di debolezza.
Immagino che a molti, quando mancano non troppi giorni ad un appuntamento importante, sia capitato di cominciare a vagare con la mente, di immaginarsi in quel momento, in gara, a giocare finalmente le poprie carte preparate da mesi in meno di una manciata di minuti. Se l’immaginazione è particolarmente vivida, immancabilmente l’organismo risponde: si altera la frequenza cardiaca, la vasodilatazione, il tono muscolare… Capita di immaginare, per esempio, quelle ultime falcate in campo prova con il leggero impaccio dei chaps appena indossati, il profumo di un lucido che si cosparge sui crini per un ultimo ritocco estetico, la voce della speaker che annuncia il nostro nome, un giudice sul suo seggiolino che ci guarda, quella luce tipica soltanto di un’arena vuota illuminata per una finale… E ci si emoziona. Ognuno ha le proprie immagini e i propri ricordi, e ognuno è più sensibile a certi particolari piuttosto che ad altri.
Questa capacità di visualizzazione non solo del pattern, ma anche di tutti i particolari che possono fungere da disturbo, dovrebbe essere coltivata e allenata, perchè se sufficientemente vivida e potente può essere sfruttata non solo per ripetere mentalmente i propri gesti tecnici e per cercare di migliorarli, ma anche per far entrare in qualche sessione di allenamento un livello di attivazione e di difficoltà molto più simile a quello di una gara, creandosi “a comando” uno stato mentale e fisiologico (di nuovo, la divisione tra i due è artificiosa) su cui poter lavorare per imparare a controllarsi e concentrarsi , con tutto ciò che di utile questo può comportare anche per il cavallo e dunque per l’intero binomio.
Riuscire, per così dire, a “mettersi sotto pressione” a proprio piacimento, consente ad un atleta di poter lavorare a casa sulle proprie capacità di gestire, vivere e sfruttare le emozioni anzichè esserne sopraffatto. Per far questo esistono molte tecniche per rilassarsi e/o per attivarsi e concentrarsi, e a mio avviso non c’è e non deve esserci una regola fissa circa il se, quanto e come applicarle; l’importante è ottenere il risultato di “diventare più agili”, sempre più rapidi nell’andare a cercare dentro sé stessi quella sorta di spazio tranquillo e focalizzato sul compito da portare avanti, ogni qualvolta sentiamo che stiamo perdendo lucidità.
L’importante è non trascurare questo aspetto spesso troppo sottostimato, se non vogliamo rischiare di fare un ottimo lavoro a casa, di farci trovare tecnicamente preparatissimi, di avere un cavallo ben addestrato e che ci segue perfettamente… Per poi vanificare tutto sciogliendoci mezz’ora prima dello show.

Giacomo Ronchi