L’insostenibile pesantezza della competizione

Competere. Giocarsela. Vincere. Perdere. Essere tra i migliori. Arrivare ultimo. Essere il peggiore.
Sogni, incubi, o cose accadute realmente a chiunque di noi.
C’è chi ha quello che si dice uno “spirito competitivo” e cerca sempre di primeggiare ed è dunque ambizioso; c’è chi invece desidererebbe che la competizione, in qualunque ambito ed intesa in ogni sua forma, potesse non esistere.
A pensarci bene, anche sulla base di queste diverse visioni circa ciò che significa la competizione tra individui si sono forgiate ideologie politiche e dunque tentativi di organizzare le società.
“La competizione non è per tutti e soprattutto non seleziona i migliori, solo i meno sensibili”.
Sono parole del Dott. Paolo Crepet, decontestualizzate e recentemente condivise da molti sul web soprattutto nell’intento di sottolineare come la scuola, ma anche i genitori, commettano spesso l’errore di alimentare nei ragazzi idee come quella di “dover essere migliore di” o almeno “uguale a”.
Idee che sono il frutto dell’aver messo in competizione gli studenti non solo tra di loro, ma anche con l’idea che genitori e insegnanti hanno di ciò che loro dovranno diventare.
D’altra parte, esiste una società, umana o animale, nella quale una qualche forma di competizione tra individui non sia presente tra le regole del gioco?
Possiamo ragionevolmente pensare di proteggere ad ogni costo i giovani ragazzi da qualunque cosa possa attestare che oggi il loro livello in una disciplina, materia, o sport nel quale si sono applicati è pari a un dato valore, un simbolo, un numero?
A mio avviso la risposta è no; perchè è naturale e inevitabile che nella realtà a un certo punto qualcuno o qualcosa ti attribuisca un valore, grande o piccolo, relativo o assoluto che sia, un limite verso cui ti sei incredibilmente spinto e oltre il quale al momento non riesci ad andare.
Certamente si può e si deve proteggere i ragazzi dalla stupida idea che l’obiettivo nella vita sia quello di “essere i primi” di per sé, in qualunque modo e a qualunque costo, e che essere “secondi a” o “peggiori di” sia una vergogna.
Queste sono le idiozie che vanno evitate; e questa è la ragione per la quale sarebbe necessario trasmettere ai ragazzi una cultura della competizione “sana”, dove sia chiaro che tutti, dal primo all’ultimo, hanno dei limiti sui quali si può e si deve sempre lavorare non per raggiungere l’obiettivo di arrivare primi per forza, ma per poter stare di fronte a sè stessi con la consapevolezza di aver dato il massimo e di non essersi accontentati di fare il minimo indispensabile o anche meno.
Essere stati peggiori di qualcuno o i peggiori di un gruppo non è una vergogna, se si ha lavorato bene per dare il proprio meglio. E’ qualcosa che bisogna essere preparati ad affrontare nello sport come nella vita; mentre molti giovanissimi, così come molti adulti, rischiano spesso di cadere nella tentazione di non provare nemmeno a dar fondo a tutte le proprie energie e capacità per il timore che queste non siano sufficienti, per la paura di scoprire che in quel dato momento il proprio massimo livello è “X”. Molto più facile e comodo pensare, fantasticare che “se solo io lo volessi, se io mi impegnassi davvero, potrei fare assolute grandi cose”. Molto più semplice accampare scuse e crearsi alibi e rimanere nascosti. A sè stessi innanzitutto.
Non si può certo pensare di fare qualunque cosa sotto pressione e con l’intento di trarre il massimo dalle proprie forze, certo; ma almeno in alcuni ambiti la vita chiama qualunque individuo o gruppo di individui a superare un’asticella fissata ad una determinata altezza, ad un determinato livello di difficoltà. Si può riuscire nell’intento, si può tentare e fallire, si può portare a termine il compito ma meno brillantemente di altri o semplicemente in un modo diverso e non convenzionale; a volte si è fatto tutto in modo brillante e ottimo ma banalmente e crudelmente non si ha avuto fortuna.
Sono tutti scenari possibili e bisogna essere preparati ad accettarli, a portarseli addosso senza essere disintegrati e condotti sulla via sbagliata dai fallimenti ma anche dai successi. E’ la vita.